Sono passati ormi 18 mesi dal ritrovamento del corpo del
giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, barbaramente ucciso in Egitto in
seguito, con ogni probabilità, alla sua attività giornalistica d'inchiesta, ma
nonostante la lunga attesa e i tanti proclami la verità è ancora lontana.
Il Governo italiano, però, sfruttando l'afa di ferragosto ha
riaperto, se mai fosse stato realmente chiuso, il dialogo politico con l'Egitto
comunicando il ritorno dell'Ambasciatore italiano al Cairo. Eppure il Governo
italiano, nella persona del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, era stato
chiaro soprattutto con la famiglia Regeni: «L'eventuale decisione sul ritorno
in Egitto dell'Ambasciatore italiano sarà presa solo dopo una condivisione con
la famiglia».
La condivisione con la famiglia Regeni, però, non è avvenuta
e l'Ambasciatore ha fatto rientro in Egitto. «L'Ambasciatore italiano al Cairo
avrà, tra l'altro, il compito di contribuire alla ricerca della verità
sull'assassinio di Giulio Regeni» ha dichiarato Paolo Gentiloni in seguito alla
decisione e all’annuncio della Procura di Roma di aver ricevuto nuovi atti dai
colleghi del Cairo.
Quel "tra l'altro" però, pare essere pieno di
significati e ragioni che vanno ben oltre alla ricezione di nuovi atti. Una
scelta in sordina resa ancora più enigmatica dalle rivelazioni pubblicate dal
New York Times, secondo cui, il Governo Usa era in possesso di prove
incontrovertibili delle responsabilità egiziane, ma che furono comunicate «solo
in parte» per tutelare le fonti. Secondo il quotidiano, inoltre, «La leadership
egiziana era pienamente a conoscenza delle circostanze dell’uccisione del
ricercatore».
E allora quali sono le vere ragioni?
La decisione del ritorno in Egitto dell'Ambasciatore
italiano pare che sia stata forzata da Minniti (Interno), Alfano (Esteri) e
Pinotti (Difesa), tre Ministri fondamentali nella pianificazione della politica
estera dell'Italia. La motivazione di tale scelta, a parer mio, è presto
spiegata interpretando lo scenario politico dei Paesi affacciati sul
Mediterraneo, considerando le operazioni energetiche dell'Eni e analizzando le politiche messe in campo negli anni dai
menzionati Ministri.
La questione Mediterraneo sta assumendo sempre più
centralità per il Governo italiano che senza idee valide è alla ricerca
soluzioni e intese con altri Stati. L'instabilità politica della Libia è
evidente e l'intervento politico del Presidente francese Macron per diventare
l'ago della bilancia tra il premier Sarraj e il generale Haftar, obbliga
l'Italia a reagire. E la risposta pare essere proprio il rientro
dell'Ambasciatore al Cairo per rafforzare il rapporto politico con l'Egitto,
considerato strategico per gestire la crisi libica, altro Paese dittatoriale con il quale l'Italia sta intensificando i rapporti nell'ottica di impedire gli sbarchi sulle coste italiane (qui si dovrebbe aprire un altro capitolo sui lager di detenzione libici dove vengono rinchiuse le persone in fuga dalle guerre foraggiate con armamenti italiani).
Il secondo punto riguarda il lavoro di ricerca dell'Eni nel Mar Mediterraneo. Proprio nel 2015 l'Eni, infatti, «ha effettuato una scoperta di gas di rilevanza mondiale - si legge in una nota della multinazionale nell'offehore egiziano del Mar Mediterraneo, presso il prospetto esplorativo denominato Zohr -». Una scoperta che l'Eni stima in un valore potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas.
Una delle maggiori scoperte mondiali di gas in una zona geografica strategica e attraversata da numerosi interessi geopolitici e che, sicuramente, necessita di rapporti politici stabili senza grattacapi. Ecco, quindi, un motivo in più per tacere la morte di Giulio Regeni e rallentare, se non oscurare, la ricerca della verità.
Il terzo aspetto, relativo alle politiche attuate dai
Ministri Minniti, Alfano e Pinotti riguarda, infine, il sempre florido mercato
italiano delle armi verso paesi dittatoriali di cui l'Egitto ne è un esempio.
Un rientro dell'Ambasciatore al Cairo era anche stato ipotizzato, ma solo nel
caso in cui fossero state poste delle condizioni incisive ed efficaci tra le quali
l’impegno del Governo a non concedere la licenza per la vendita di armi e pezzi
ricambio per armamenti ad aziende pubbliche e private egiziane. Condizione che,
ovviamente, non è mai stata posta all'Egitto.
Insomma, il Governo italiano resta al palo in tema di
politica estera e decide di sacrificare la morte di un ragazzo e la ricerca
della verità ai soli scopi di sopperire alle inesistenti politiche estere e
mantenere un ruolo primario nella vendita delle armi.
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