«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale
contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle
nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a
Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»
Furono
queste le parole pronunciate da Sandro Pertini il 25 aprile del 1945 in
occasione della liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Il 25 aprile è diventato
giorno di festa nazionale e ogni anno, in tutte le piazze del Paese, si
celebrano i partigiani e le loro battaglie di resistenza che hanno riconsegnato
all’Italia un paese libero e democratico.
Nonostante
gli anni passati, esiste ancora oggi un forte pensiero razzista e totalitario
che l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e le forze sociali e
democratiche combattono ogni giorno.
Ci
sono, però, ancora tante battaglie di liberazione che molte persone combattono
ogni giorno sacrificando, a volte, anche la propria vita.
Sto
parlando della lotta alle mafie che da più di due secoli tengono in ostaggio la
Repubblica Italiana. Le cause che hanno permesso alle mafie di proliferare ed
espandersi non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo, sono tante e
impossibili da esaurire in solo articolo.
Vivendo
in una fase storica difficile nella quale la libertà d’informazione è
costantemente sotto attacco ed essendo oggi la Festa della Liberazione, voglio
dedicare questa giornata a chi ha dedicato la propria vita al racconto delle
vicende mafiose e che ha causa di ciò sono state uccise.
Il
pensiero va quindi a Cosimo Cristina,
giornalista e collaboratore di numerose testate italiane, ucciso da cosa nostra
il 5 maggio 1960. La “colpa” di Cosimo Cristina fu di raccontare sul quotidiano
da lui fondato, “Prospettive Siciliane”, le vicende del fenomeno mafioso nel
territorio di Termini Imerese.
Mauro De Mauro,
giornalista scomparso a Palermo il 16 settembre 1970 e mai più ritrovato. La
“colpa” di De Mauro pare sia stata l'inchiesta sulla morte, secondo lui dovuta
a omicidio e non a incidente, del presidente dell'Eni Mattei. Di De Mauro, lo
scrittore siciliano Leonardo Sciascia disse: «De Mauro ha detto la cosa giusta
all'uomo sbagliato, e la cosa sbagliata all'uomo giusto.»
Giovanni Spampinato,
corrispondente da Ragusa de L’Ora di Palermo e de l'Unità, ucciso da cosa
nostra a Ragusa il 27 ottobre 1972. La “colpa” di Spampinato fu la
pubblicazione di un'ampia e approfondita inchiesta sul neofascismo attraverso
la quale era riuscito a documentare le attività clandestine e i rapporti delle
organizzazioni di estrema destra locale con la criminalità organizzata.
Giuseppe (Peppino) Impastato,
giornalista e attivista politico di Democrazia Proletaria, ucciso da cosa
nostra a Cinisi il 9 maggio 1978. Le “colpe” di Peppino furono le sue denunce
pubbliche, ma soprattutto radiofoniche, contro il boss del paese Gaetano
Badalamenti. L’arma di Peppino Impastato fu la risata attraverso la quale
ridicolizzava la mafia facendola apparire impotente. La sua morte fu
inizialmente descritta come un suicidio ma grazie alla tenacia della madre
Felicia i giudici riaprirono le indagini e l’11 aprile 2002 condannarono il
boss Badalamenti all’ergastolo come colpevole dell’omicidio.
Mario Francese,
giornalista de Il Giornale di Sicilia, ucciso da cosa nostra a Palermo il 26
gennaio 1979. La “colpa” di Francese fu di essersi occupato della strage di
Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell'omicidio del
colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Nelle sue inchieste entrò
profondamente nell'analisi dell'organizzazione mafiosa, delle sue spaccature,
delle famiglie e dei capi, specie del corleonese legata a Luciano Liggio e Totò
Riina, nonché uno dei pochi a sostenere l'ipotesi che quello di Cosimo Cristina
fosse un assassinio di mafia. Mario Francese, inoltre, fu l'unico giornalista a
intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella.
Giuseppe (Pippo) Fava,
scrittore, giornalista, sceneggiatore, nonché È stato direttore responsabile
del Giornale del Sud e fondatore del giornale antimafia I Siciliani, ucciso da
cosa nostra a Catania il 5 gennaio 1984. Le “colpe” di Fava furono le accuse relative
alle collusioni tra cosa nostra e i cavalieri del lavoro catanesi. La morte di
Fava fu subito licenziata come delitto passionale ma, dopo la riapertura del
caso da parte della magistratura, nel 1998 arrivano le condanne all’ergastolo
del boss catanese Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, e Aldo Ercolano come
esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola.
Giancarlo Siani,
giornalista de “Il Mattino”, ucciso dalla Camorra il 23 settembre 1985. Le
“colpe” di Siani furono le sue inchieste giornalistiche sul fronte della
commistione tra criminalità organizzata e politica locale, ma in particolare un
articolo attraverso il quale denunciava il Clan Nuvoletta.
Mauro Rostagno,
giornalista e attivista che fu tra i fondatori di Lotta Continua, ucciso in
provincia di Trapani, a Lenzi di Valderice, il 26 settembre 1988 in seguito a
un agguato mafioso. Le “colpe” di Rostagno furono le sue denunce televisive
contro le collusioni tra mafia e politica locale. La trasmissione di Rostagno,
inoltre, seguiva tutte le udienze del processo per l'omicidio del sindaco Vito
Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano
Agate, che durante la pausa di un'udienza mandò a dire a Rostagno che «doveva
dire meno minchiate» sul suo conto.
Giuseppe (Beppe) Alfano,
corrispondente de La Sicilia e collaboratore di emittenti locali, ucciso da
cosa nostra in provincia di Messina, a Barcellona Pozzo di Gotto, l’8 gennaio
1993. La “colpa” di Alfano fu la sua attività giornalistica rivolta soprattutto
verso uomini d'affari, mafiosi latitanti, politici e amministratori locali e
massoneria.
Questo
25 aprile lo dedico a loro e a tutte le persone che praticano il diritto
all’informazione per combattere ogni forma di violenza, sopruso, prepotenza e
discriminazione.