La lotta
di classe esiste ancora, ne ho avuto la conferma, ma purtroppo la classe
operaia l'ha persa.
Domenica
mattina, a Brescia, in occasione della corsa rosa organizzata per la difesa dei
diritti delle donne in vista dell'8 marzo, anche noi della CGIL eravamo
presenti in piazza per sostenere la lotta di tutte le donne, ma anche per
promuovere i referendum sui voucher e gli appalti.
Munito
di adesivi referendari, chiedevo alle partecipanti di incollare sulla pettorina
anche lo slogan del referendum. Tante le donne fermate: alcune hanno accettato
l'adesivo e altre no, alcune condividevano i quesiti e altre no, ma fin qui
nulla tutto normale.
Adesivo
dopo adesivo, però, incontro due signore la cui riposta al mio invito mi ha
fatto riflettere molto: "Noi non firmiamo, siamo imprenditrici". Ho
sorriso, augurato una buona corsa e non ho ribattuto perché l'occasione non era
adatta.
Ho
continuato a volantinare e nel frattempo mi chiedevo: "Che cosa vuol dire
che non firmano perché sono imprenditrici? Lo status di "imprenditore"
concede il permesso di violare i diritti dei lavoratori? Di sottopagarli o
sfruttarli?"
No, non
può essere così. E mentre pensavo, mi sono tornate alla mente le parole di
Giorgio Cremaschi pronunciate in un dibattito: "La lotta di classe esiste,
gli imprenditori lo sanno bene e finora hanno vinto questa battaglia".
Mi
ricordo inoltre anche di un articolo pubblicato nel giugno del 2015 sull'HuffingtonPost nel quale viene raccontata la paura più grande di Johann
Rupert, il padrone della linea di gioielli Cartier: "Che i poveri
insorgano e facciano cadere i ricchi". Il multimilionario racconta poi di
conoscere i dati Oxfam, secondo i quali l'1 per cento della popolazione
mondiale possiede più ricchezza del restante 99%, e la sua paura aumenta fino a
togliergli il sonno.
Penso
che questi esempi, così come quanto accaduto volantinando, debbano farci
riflettere su quanto accaduto negli ultimi trent'anni. Oggi,
infatti, assistiamo a un mondo del lavoro mutato: decine di contratti
differenti, stesse mansioni con paghe e regole diverse, categorie divise le une
dalle altre, precariato, prestazioni pagate con ticket e lotta generazionale.
Tutto
questo non nasce per caso, ma è stato studiato nei minimi dettagli
dall'alta imprenditoria che, consapevole di aver perso una battaglia, non è stata
a guardare e ha rilanciato per vincere la guerra.
Dopo le grandi conquiste sindacali degli anni '70, l'imprenditoria non ha tirato i remi in barca, anzi, ma ha solo scelto una strategia diversa, più lenta ma più letale. La classe imprenditrice guidata da Marchionne, infatti, ha saputo condizionare le condizioni lavorative senza l'aiuto della politica, ma imponendo i suoi diktat come accaduto a Pomigliano d'Arco.
A tutto questo c'è un solo rimedio: "Proletari di tutto il mondo unitevi".
Dopo le grandi conquiste sindacali degli anni '70, l'imprenditoria non ha tirato i remi in barca, anzi, ma ha solo scelto una strategia diversa, più lenta ma più letale. La classe imprenditrice guidata da Marchionne, infatti, ha saputo condizionare le condizioni lavorative senza l'aiuto della politica, ma imponendo i suoi diktat come accaduto a Pomigliano d'Arco.
A tutto questo c'è un solo rimedio: "Proletari di tutto il mondo unitevi".
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