Belgrado, Serbia, 21
novembre 2016. La foto scattata dal fotografo Marko Djurica, se non fosse a
colori, potrebbe far pensare a un’epoca storica buia e non troppo distante ,
invece non c’è nessun ritocco e la situazione immortalata è reale oltre che
attuale.
La
foto ritrae numerosi migranti in fila per ricevere cibo davanti a un magazzino
di Belgrado. Migranti provenienti soprattutto dalla Siria e dall’Afghanistan,
costretti a vivere in una prigione a causa della chiusura della frontiera
Ungherese, come se le fatiche del viaggio e l’abbandono del proprio Paese non
fosse già abbastanza.
Condizioni
di vita estranee a qualsiasi logica umana, temperature prossime allo zero, la
terre e l’asfalto come letto senza coperte sufficienti per tutti senza servizi
igienici.
Sono
circa 6400 i profughi attualmente fermi in Siria secondo le stime delle Nazioni
Unite, ma le organizzazioni locali ne contano addirittura circa diecimila.
Più
di centomila, invece, le persone che nel 2016 hanno lasciato i Paesi d’origine
come ka Siria, l’Afghanistan e l’Iraq e sono passate attraverso la Serbia con
la speranza di raggiungere il sogno chiamato Europa.
Occorre abbattere tutti i muri
ideologici, culturali e materiali e soprattutto mettere al centro un’importante
politica fondata sull’accoglienza diffusa. I muri generano solo maggiori
povertà e miserie, per questo c’è bisogno di ponti che consentano di trovare
mete più felici a chi fugge dalle guerre infinite causate proprio da quei Paesi
che rappresentano la loro speranza. Ed è anche per questa ragione, per le
guerre provocate o incentivate con l’invio di armamenti, che noi paesi europei
abbiamo un dovere in più nei confronti di chi migra da territori di guerra.
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