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Era il 29
luglio del 1983, 31 anni fa, quando Cosa Nostra uccise Rocco Chinnici, il
"giudice buono". Il giudice morì a causa dello scoppio di una
Fiat 126 imbottita di tritolo piazzata sotto la sua abitazione, in via Pipitone
Federico. Con lui morirono anche due carabinieri della scorta, il maresciallo
Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile,
Stefano Li Sacchi. L'unico superstite fu
Giovanni Paparcuri, l'autista. Il detonatore che provocò l'esplosione fu azionato dal killer mafioso Antonino Madonia.
Rocco
Chinnici era il Capo dell'Ufficio Istruzione nonché l'ideatore del pool
antimafia a Palermo.
Rocco
Chinnici non era un semplice magistrato ma era un vero esempio di impegno
civile. Parte del suo lavoro era dedicata ai giovani ai quali, in un'intervista
rilasciata a Pippo Fava per "I Siciliani", dedicò queste parole:
"[...] sono i giovani che dovranno prendere domani in pugno le
sorti della società, ed è quindi giusto che abbiano le idee chiare. Quando io
parlo ai giovani della necessità di lottare la droga, praticamente indico uno
dei mezzi più potenti per combattere la mafia. In questo tempo storico infatti
il mercato della droga costituisce senza dubbio lo strumento di potere e
guadagno più importante. Nella sola Palermo c'è un fatturato di droga di almeno
quattrocento milioni al giorno, a Roma e Milano addirittura di tre o quattro
miliardi. Siamo in presenza di una immane ricchezza criminale che è rivolta
soprattutto contro i giovani, contro la vita, la coscienza, la salute dei
giovani. Il rifiuto della droga
costituisce l'arma più potente dei giovani contro la mafia".
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