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Nel 2011 ha denunciato il pizzo e
nel 2013, sempre grazie alle sue denunce, ha fatto emergere la collusione
presente tra alcuni membri della Forestale e il clan di Cosa Nostra di
Bagheria. Oggi Gianluca Maria Calì prosegue la sua attività di rivenditore d'auto
con umiltà e con la consapevolezza di fare la cosa giusta.
Ciò che proverò a raccontare
attraverso questo post è la storia di Gianluca Maria Calì, un cittadino onesto
che ha deciso di non accettare le richieste di pizzo e usura e gli atti
intimidatori di Cosa Nostra. Gianluca Maria Calì è un imprenditore
siciliano di 40 anni titolare di due concessionarie di automobili, una a Milano
e una ad Altavilla Milicia in provincia di Palermo. Fin qui nulla di
particolare se non fosse per alcuni episodi che hanno cambiato la vita di
Gianluca. La sua attività lavorativa nel settore automobilistico inizia
all'età di 28 anni in una concessionaria di Milano. Il tempo passa e dopo
alcuni anni di gavetta ha la possibilità di tornare in Sicilia per aprire una
sede della concessionaria nella sua terra natia. La nuova avventura in Sicilia
parte bene, la concessionaria è apprezzata, i clienti sono soddisfatti e ciò
permette di far lavorare con serenità diverse persone del
posto. Nell'aprile 2011 però la vita di Gianluca cambia improvvisamente.
Nella notte tra il 3 e il 4 aprile viene svegliato dalla telefonata di un
vicino il quale lo avverte che le vetture presenti nel suo salone stavano
bruciando. Le automobili e la concessionaria vengono avvolte dalle fiamme ma
Gianluca non si da per vinto e decide di trasferire la sua attività di qualche
chilometro, da Casteldaccia ad Altavilla Milicia. Per un paio di anni la
situazione torna tranquilla ma la paura che la vicenda possa ripetersi rimane.
A distanza di due anni, infatti, a marzo 2013, Gianluca subisce una serie di
visite poco gradite di persone che provano a intimorirlo chiedendogli il
pizzo. E' così che dopo le denunce alle forze dell'ordine, Gianluca
decide di rivolgersi direttamente alla
cittadinanza affiggendo un manifesto
fuori dalla sua concessionaria, un “appello per non morire” attraverso il quale
chiede di non essere lasciato solo e di segnalare qualsiasi attività sospetta
alla polizia, ai carabinieri o ai vigili del fuoco. L'appello viene ben
accolto e il Centro Pio La Torre decide di organizzare una
manifestazione di sostegno nei confronti di Gianluca per ribadire l'importanza
di denunciare sempre ogni atto intimidatorio e violento. Nel frattempo le
indagini degli inquirenti, cominciate in seguito alle denunce di Gianluca,
proseguono e portano all'arresto di 21 affiliati al clan di Bagheria, tra i
quali risultano anche i suoi estorsori. Le attenzioni del clan di Bagheria
però non finiscono, anzi, proseguono con maggiore insistenza.
Quest'estate, infatti, Gianluca viene nuovamente svegliato di notte da due
telefonate anonime che lo invitano a smettere di parlare e di denunciare
altrimenti sarebbe finito male e che neanche i carabinieri sono in grado di
aiutarlo. Anche in questo caso Gianluca ha denunciato l'episodio e ora sono in
corso le indagini dei carabinieri di Palermo.
Le vicende
che legano la famiglia Calì a Cosa Nostra però non sono finite. Da qualche
tempo Calì aveva avviato le pratiche per acquistare all'asta una villa con
l'intenzione di creare una struttura che potesse ospitare giovani, dare lavoro
e far riscoprire le bellezze gastronomiche e paesaggistiche della
Sicilia. L’immobile in questione però non è una villa qualunque visto che
apparteneva al padrino di Bagheria Michelangelo Aiello e a Michele Greco,
soprannominato il Papa di Cosa Nostra per la sua abilità di mediazione tra le
famiglie mafiose. Qualche giorno di presentare l'offerta per aggiudicarsi la
casa, Gianluca riceve la visita di alcune persone, le quali si presentano come
eredi dei vecchi proprietari e gli chiedono di lasciar perdere quella casa.
Calì rifiuta rispondendo di ripetere le loro parole davanti al giudice, cosa
che ovviamente non avviene, e così si aggiudica la casa. L'8 febbraio
però, dopo un breve periodo di calma, due ispettori della Forestale sequestrano
l'ex villa dei boss di Cosa Nostra scrivendo nel verbale di sequestro che la
casa era in stato grezzo e in corso d'opera. Nulla di più falso poiché la villa
è presente dal lontano 1965 e Calì si stava limitando a ristrutturarla. Gianluca
decide quindi di opporsi e il 4 marzo torna in possesso della villa. Passano
solo 11 giorni e la Forestale sequestra per la seconda volta l'immobile, sempre
con le identiche motivazioni. Gianluca Maria Calì decide di opporsi ancora e
denuncia l'accaduto alle autorità competenti. A fine marzo i due ispettori della Forestale di Bagheria che eseguirono
il sequestro, Luigi Matranga e Giovanni Coffaro, e altri loro colleghi vengono
coinvolti in un'inchiesta della Procura di Palermo con l'accusa di ricatto,
minacce ed estorsione. Oltre a questo, come se non bastasse, l'inchiesta della
Procura fa emergere una forte presenza della mafia di Bagheria. Secondo gli
inquirenti, infatti, alcuni dipendenti della Forestale erano a servizio del
clan mafioso di Bagheria. Le indagini stanno tuttora proseguendo, come
prosegue la battaglia di Gianluca contro Cosa Nostra che dopo il secondo
sequestro ha presentato un ricorso in Cassazione. Il 21 settembre è
arrivata l'attesa sentenza della Cassazione che però ha respinto il ricorso di
Gianluca per un vizio di forma. Un sequestro illegittimo e privo di
motivazioni serie e l'arresto di alcuni membri della Forestale collusi con Cosa
Nostra non sono bastati a far tornare la villa nelle mani della famiglia
Calì. Un quadro anomalo che mette in difficoltà cittadini onesti che come
Gianluca che hanno a cuore la propria terra e cercano di riscattarla.
Con questo post ho provato a raccontare la storia di Gianluca
Maria Calì. L’ho fatto perché quest'estate ho avuto il piacere di conoscerlo
personalmente con mio papà e la sua storia mi ha colpito moltissimo, tanto da
farmi sentire in debito nei confronti di chi come Gianluca lotta ogni giorno
contro le mafie e i soprusi. Così mi sono preso l'impegno di raccontare la sua
vicenda affinché Gianluca possa diventare un esempio per tanti altri
cittadini. Probabilmente ora Gianluca mi direbbe che non vuole essere
considerato un eroe e che il suo unico desiderio è di poter crescere i suoi
figli ma il suo impegno e la sua umiltà sono per me uno stimolo in più per
lottare contro le mafie e per far conoscere la storia di chi lotta ogni ogni
giorno come Gianluca.
Spero di esserci riuscito, almeno un po'.