scritto per la
Oggi, 19 gennaio 2013, Paolo Borsellino avrebbe compiuto 73 anni. Invece ci ha lasciati poco più di vent'anni fa, in un caldo 19 luglio 1992 che ha segnato per sempre la memoria di molti italiani. Nel giorno del suo compleanno riporto la sua ultima lettera e un emozionante scritto del fratello, Salvatore Borsellino. Oggi voglio ricordarlo così, con questa sua lettera dalla quale si capisce che era consapevole di ciò che gli aspettava eppure era incredibilmente carico di ottimismo e speranzoso per le generazioni future.
Prima
di riportare la lettera, che potete leggere anche sul sito 19luglio1992.org, scrivo una delle
sue frasi che amo di più: "Se
la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia
svanirà come un incubo". Paolo Borsellino
L'ULTIMA LETTERA DI PAOLO BORSELLINO
Questa è l'ultima lettera di Paolo
Borsellino, scritta alle 5 del mattino del 19 Luglio 1992, dodici ore
prima che l'esplosione di un'auto carica di tritolo, alle 17 dello stesso
giorno, davanti al n.19 di Via D'Amelio, facesse a pezzi lui e i ragazzi della
sua scorta.
Paolo si alzava quasi sempre a quell'ora. Con quella sua ironia che
riusciva a sdrammatizzare anche la morte, la sua morte annunciata, diceva
che lo faceva "per fregare il mondo con due ore di anticipo" e
quella mattina cominciò a scrivere una lettera alla preside di un liceo di
Padova presso il quale avrebbe dovuto recarsi a Gennaio per un incontro al
quale non si era poi recato per una serie di disguidi e per i suoi impegni che
non gli davano tregua.
La faida di Palma di Montechiaro che
Paolo cita nella lettera la ricordo bene.
A Capodanno dello stesso anno
ero con lui ad Andalo, nel Trentino dove avevamo passato insieme il
Natale, per la prima volta da quando, nel 1969, ero andato via dalla Sicilia,
ed avevamo deciso di ritornare passando per Innsbruck che avevamo entrambi
voglia di visitare insieme con le nostre famiglie.
Non fu possibile
perchè Paolo ricevette la notizia della strage di mafia che c'era stata a Palma
di Montechiaro e dovette rientrare di fretta in Sicilia.
Fu l'ultima volta che
vidi Paolo, da allora fino alla strage del 19 luglio ci sentimmo solo qualche
volta al telefono e quando, dopo la sua morte, vidi le sue foto successive alla
morte di Giovanni Falcone mi sembrò che in poco più di sei mesi fosse
invecchiato di 10 anni.
La lettera è da leggere parola per parola, pensando
proprio che sono le ultime parole di Paolo.
Quando dice che non riusciva
in quei giorni neanche a vedere i suoi figli penso a quello che mi disse mia
madre dopo la sua morte: le aveva confidato che non faceva più le coccole a
Fiammetta la sua figlia più piccola e che stava cercando di allontanarsi
affettivamente dai suoi figli perchè soffrissero di meno nel momento in cui lo
avrebbero ucciso.
E che quel giorno lo avrebbero ucciso Paolo lo doveva
quasi presagire, sapeva che a Palemo era già arrivato il carico di tritolo per
lui. Lo sapeva anche il suo capo, Pietro Giammanco, che non gli aveva però
riferito dell'informativa che gli era arrivato a questo proposito e Paolo, che
invece lo aveva saputo per caso all'aeroporto dal ministro Scotti, aveva avuto
con lui uno scontro violento.
Uno scontro che Paolo ebbe con Giammanco
anche la mattina del 19 Luglio, quando quest'ultimo gli telefonò alle 7 del
mattino, cosa che fino allora non era mai successa.
Forse anche Giammanco
sapeva che quello era l'ultimo giorno di Paolo e per questo gli comunicò
che gli aveva finalmente concessa la delega per indagare sui processi di mafia
in corso di istruttoria a Palermo. Delega che avrebbe permesso a
Paolo di interrogare senza più vincoli il pentito Gaspare Mutolo
che in quei giorni aveva cominciato a rivelare le collusioni tra
criminalità organizzata, magistratura, forze dell'ordine e servizi
segreti.
Racconta la moglie di Paolo che Giammanco gli disse: "Ora
la partita è chiusa" e Paolo gli rispose invece urlando "No,
la partita comincia adesso".
Dopo quella telefonata Paolo non scrisse
più niente sul foglio e la lettera rimase incompiuta sul numero 4), dopo gli
altri tre punti nei quali Paolo, rispondendo a delle domande postegli dai
ragazzi del liceo, ci da tra l'altro, in maniera estremamente semplice e
chiara, come solo lui era in grado di fare, una definizione della mafia che
bisognerebbe che tutti conoscessero e che fosse insegnata nelle
scuole.
Dieci ore dopo un telecomando azionato da una stanza di un centro
dei Servizi Segreti Civili, il SISDE, ubicato sul castello Utveggio, poneva
fine alla vita di Paolo ma non riusciva ad ucciderlo, oggi Paolo è più vivo che
mai, è vivo dentro ciascuno di noi e il suo sogno non morirà mai.
Salvatore Borsellino
"Gentilissima" Professoressa,
uso le virgolette perchè le ha usato lei nello scrivermi, non so se per
sottolineare qualcosa e "pentito" mi dichiaro dispiaciutissimo per il
disappunto che ho causato agli studenti del suo liceo per la mia mancata
presenza all'incontro di Venerdì 24 gennaio.
Intanto vorrei assicurarla che non mi sono affatto trincerato dietro un
compiacente centralino telefonico (suppongo quello della Procura di Marsala)
non foss'altro perchè a quell'epoca ero stato già applicato per quasi tutta la
settimana alla Procura della Repubblica presso il Trib. di Palermo, ove poi da
pochi giorni mi sono definitivamente insediato come Procuratore Aggiunto.
Se le sue telefonate sono state dirette a Marsala non mi meraviglio che non mi
abbia mai trovato. Comunque il mio numero di telefono presso la Procura di
Palermo è 091/***963, utenza alla quale rispondo direttamente.
Se ben ricordo, inoltre, in quei giorni mi sono recato per ben due volte a Roma
nella stessa settimana e, nell'intervallo, mi sono trattenuto ad Agrigento per
le indagini conseguenti alla faida mafiosa di Palma di Montechiaro.
Ricordo sicuramente che nel gennaio scorso il dr. Vento del Pungolo di Trapani
mi parlò della vostra iniziativa per assicurarsi la mia disponibilità, che
diedi in linea di massima, pur rappresentandogli le tragiche condizioni di
lavoro che mi affligevano. Mi preanunciò che sarei stato contattato da un
Preside del quale mi fece anche il nome, che non ricordo, e da allora non ho
più sentito nessuno.
Il 24 gennaio poi, essendo
ritornato ad Agrigento, colà qualcuno mi disse di aver sentito alla radio che
quel giorno ero a Padova e mi domandò quale mezzo avessi usato per rientrare in
Sicilia tanto repentinamente. Capii che era stato "comunque" preannunciata
la mia presenza al Vostro convegno, ma mi creda non ebbi proprio il tempo di
dolermene perchè i miei impegni sono tanti e così incalzanti che raramente ci
si può occupare di altro.
Spero che la prossima
volta Lei sarà così gentile da contattarmi personalmente e non affidarsi ad
intermediari di sorta o a telefoni sbagliati..
Oggi
non è certo il giorno più adatto per risponderle perchè frattanto la mia città
si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho tempo da dedicare neanche
ai miei figli, che vedo raramente perchè dormono quando esco da casa ed al mio
rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati.
Ma
è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare
e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle Sue domande.
1) Sono diventato giudice perchè nutrivo grandissima passione per il diritto
civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito
alle ricerche giuridiche e sollevato dalle necessità di inseguire i compensi
dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribilie
per dar sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica, non appagabile con la
carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso.
Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al
1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me
stesso. E' vero che nel 1975 per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la
mia famiglia, ero approdato all'Ufficio Istruzione Processi Penali, ma otteni
l'applicazione, anche se saltuaria, ad una sezione civile e continuai a
dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle dispute
legali, delle divisioni erediatarie etc.
Il
4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Comm. Chinnici volle
che mi occupassi io dell'istruzione del relativo procedimento. Nel mio stesso
ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal civile, il mio amico
di infanzia Giovani Falcone e sin dall'ora capii che il mio lavoro doveva
essere un altro.
Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo
dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad
occuparmi quasi casualmente, ma se amavo questa terra di essi dovevo
esclusivamente occuparmi.
Non
ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressocchè
esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista perchè vedo che verso
di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da
quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando
questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la
mia generazione ne abbiamo avuta.
2)
La DIA è un organismo investigativo formato da elementi dei Carabinieri, della
Polizia di Stato e della Guardia di Finanza e la sua istituzione si propone di
realizzare il coordinamento fra queste tre strutture investigative, che fino ad
ora, con lodevoli ma scarse eccezioni, hanno agito senza assicurare un
reciproco scambio di informazioni ed una auspicabile, razionale divisione dei
compiti loro istituzionalmente affidati in modo promiscuo e non codificato.
La DNA invece è una nuova struttura giuridica che tende ad assicurare
soprattutto una circolazione delle informazioni fra i vari organi del Pubblico
Ministero distribuiti tra le numerose circoscrizioni territoriali.
Sino ad ora questi organi hano agito in assoluta indipendenza ed autonomia
l'uno dall'altro (indipendenza ed autonomia che rimangono nonostante la nuova
figura del Superprocuratore) ma anche in condizioni di piena separazione,
ignorando nella maggior parte dei casi il lavoro e le risultanze investigative
e processuali degli altri organi anche confinanti, e senza che vi fosse una
struttura sovrapposta delegata ad assicurare il necessario coordinamento e ad
intervenire tempestivamente con propri mezzi e proprio personale giudiziario
nel caso in cui se ne ravvisi la necessità.
3) La
mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e
verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la sua
caratteristica di "territorialità". Essa e suddivisa in
"famiglie", collegate tra loro per la comune dipendenza da una
direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare sul territorio la stessa
sovranità che su esso esercita, deve esercitare, leggittimamente, lo Stato.
Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si
producono o affluiscono sul territorio principalmente con l'imposizione di
tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con
l'accaparramento degli appalti pubblici, fornendo nel contempo una serie di
servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro
etc, che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.
E'
naturalmente una fornitura apparente perchè a somma algebrica zero,
nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una
corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di
criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso
l'imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il
lavoro è assicurato a taluni (pochi) togliendolo ad altri (molti).
La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa Nostra di
mezzi economici prima impensabili, sono accidenti di questo sistema criminale e
non necessari alla sua perpetuazione.
Il
conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale
concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni)
è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con le infiltrazioni negli
organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perchè venga
indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di
tutta la comunità sociale.
Alle
altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra,
"ndrangheta", Sacra Corona Unita etc.) difetta la caratteristica
della unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con
le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra. ma non
hanno l'organizzazione verticistica ed unitaria. Usufruiscono inoltre in forma
minore del "consenso" di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi
come istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo
tende a confondersi.